L’euroscetticismo di Angela Merkel

C’è un vecchio detto negli ambienti delle istituzioni europee che definisce l’Unione Europea come quella cosa in cui ventisei statisi mettono d’accordo su una decisione e la Germania mette i soldi. Sottolineando così da un lato come l’europeismo tedesco fosse così estremo e scontato che non ci fosse nemmeno bisogno di sentire il parere di Berlino (o di Bonn in precedenza) prima di prendere una decisione, ma anche come fosse impossibile per il resto d’Europa fare qualsiasi cosa, se non litigare, senza l’aiuto della prima potenza regionale.

La vicenda greca ha però segnato un’inversione di tendenza nei rapporti con gli altri partner europei, sbalordendo l’intera UE e tramutando la cancelleria tedesca nella nuova campionessa dell’euroscetticismo, al pari quasi di Margaret Thatcher.

Ma davvero come dice Der Spiegel la Germania ha abbandonato la sua storica posizione filo europeista?

Il no alla Grecia può essere letto attraverso differenti chiavi di lettura: ragioni di politica interna; paura che il contagio dei PIIGS possa estendersi; eccessiva (a seconda dei punti di vista) severità tedesca nel voler punire chi non segue la tipica politica tedesca di rigore economico. Se però viene combinato con altri segnali giunti da Berlino recentemente ecco che l’ipotesi introdotta dal settimanale tedesco si rafforza.

Segnali che possiamo far risalire all’incirca a subito dopo la vittoria alle elezioni politiche nazionali e alla nascita della coalizione giallo nera con i liberali. Nello stesso periodo si aprì la tornata delle nuove cariche europee da assegnare Commissione, Presidenza del Consiglio, Alto Rappresentante tornata a cui la Germania preferì partecipare mantenendo un basso profilo e preferendo accontentare gli altri partner europei, Francia e Gran Bretagna in primis. All’epoca un atteggiamento del genere fu motivato con la volontà, tutt’ora confermata, che l’obiettivo fosse la presidenza della BCE al fine di mantenere saldo il controllo sulle politiche finanziarie europee.

Sulla base dello stesso ragionamento fu spiegata la nomina del pressoché sconosciuto Gunther Oettinger come commissario tedesco, a cui successivamente fu affidato il portafoglio energetico.

In realtà la nomina di Oettinger e il suo portafoglio svelavano che la strategia tedesca aveva anche un obiettivo più immediato: gestire la partita energetica europea in un quinquennio decisivo visto che verranno quasi del tutto completati i percorsi delle due pipeline (South Stream e Nabucco) che avranno il compito di rifornire di gas l’Europa dei prossimi anni. Disputa energetica che rappresenta un nodo fondamentale anche per il destino geopolitico dell’intera Unione e per i suoi rapporti con la Russia.

Nonostante una politica estera nei confronti di Mosca piuttosto critica soprattutto in materia di rispetto dei diritti umani, il cancelliere Merkel aveva già dato in passato dimostrazione di non volersi discostare molto dalla politica pro Gazprom mantenuta dal suo predecessore Gunther Schroeder, non a caso nominato già da qualche anno presidente del consorzio che sta costruendo North-Stream. Tale politica, parallelamente con quella italiana, aveva attirato ai due governi parecchie critiche da parte degli altri partner europei che invece puntavano senza dubbio sul progetto Nabucco in cui l’Unione Europea è in prima fila, anche per discostarsi dalla dipendenza energetica russa.

A sorpresa, nel passato marzo, il nuovo Commissario per l’Energia rilasciava due importanti dichiarazioni che spalancavano le porte a Gazprom nella battaglia contro Nabucco. Dapprima dichiarava, durante il forum energetico di Sofia, che Nabucco non era il solo progetto di gasdotto sul campo e che la Commissione europea non doveva escludere South Stream se non per ragioni tecniche; successivamente annunciava che molto probabilmente i lavori per Nabucco non sarebbero terminati prima del 2018, tre anni in ritardo rispetto a quanto previsto in precedenza e quattro rispetto alla concorrenza.

Le ragioni di un tale cambiamento di mentalità sono di molteplice natura:

In primo luogo c’è una ragione anagrafica, l’attuale generazione alla guida del paese è la prima nata dopo la fine della seconda guerra mondiale e in qualche modo, rispetto a quella degli Adenauer e dei Kohl, risente psicologicamente in maniera minore del senso di colpa del nazismo, che invece portava le generazioni precedenti a provare quasi un senso di vergogna nel affermare con orgoglio i meriti della Germania post-bellica e a perseguire una politica che conferisse al paese un riconoscimento internazionale a costo anche di andare contro gli interessi nazionali. La generazione post-bellica è cresciuta dentro il quadro europeo ma anche dentro un quadro di grande ripresa nazionale per cui ha visto con i suoi occhi la Germania risollevarsi ed è cosciente di come il paese sia l’unica e sola potenza economica regionale.

In secondo luogo rispetto all’epoca degli Adenauer e dei Kohl è cambiata l’Unione Europea. Oggi la Merkel non deve trovare la quadra con altri 5 o 11 stati ma bensì con altri 26, in una situazione resa ancora più complicata dall’emergere di nuovi fratture e dal fatto che il modello inglese di utilizzare l’UE per proprio tornaconto sembra quello maggiormente affermatosi.

Infine proprio l’allargamento ad oriente ha riavvicinato e, in qualche modo riattivato, la sfida per l’influenza economica sulla regione con la Russia, cancellando virtualmente i confini esistenti.

L’Unione Europea deve quindi prepararsi ad un futuro incerto a causa di una Germania intenzionata ad abbandonare lo storico asse portante con la Francia? No. Le ipotesi come quella suggerita da Euroactiv di un asse italo-francese alternativo, appaiano nel migliore dei casi fantapolitica.

Non esistono alternative ad una guida franco-tedesco e il legame che lega la Germania al destino europeo è oramai talmente intricato e coeso da essere completamente indissolubile. Piuttosto appare chiaro che per il prossimo quinquennio gli altri partner europei dovranno cominciare a marciare compattamente e velocemente nella stessa direzione, quella tedesca, se vorranno che la Germania continui a pagare per tutti.

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